venerdì 1 febbraio 2008

Siamo dei mendicanti di gioia.





Siamo dei mendicanti di gioia.

Tutti, credenti o meno, siamo dei mendicanti di gioia,

perché sperimentiamo di non possedere ragioni a sufficienza per essere davvero realizzati, totalmente appagati.

Sì, certo, viviamo momenti intensi, belli, memorabili,

gioie semplici e vere che solcano

– grazie a Dio! –

il cuore e la vita.

Ma non sufficienti a realizzare tutto il desiderio di assoluto

che portiamo conficcato nel cuore.

Il nostro mondo, ingenuo!,

ci fa pure credere che ottenere la felicità è cosa da poco:

basta possedere, apparire, esagerare.

Chi davvero crede a questa menzogna

si ritrova con un pugno di mosche in mano, inebriato e fuori di sé.

Altri, da tempo, si sono arresi al quotidiano

e combattono la triste battaglia del sopravvivere.

È possibile vivere la totalità dell’amore?

La pienezza della felicità?

Gesù, il folle Matteo inizia oggi il lungo discorso della montagna:

come un nuovo Mosè,

Gesù sale sulla montagna,

non il Sinai ma le colline del lago di Tiberiade

sono lo scenario dell’evento,

per consegnare la nuova legge,

non più scolpita sulle tavole di pietra,

ma incisa nel cuore dei discepoli.

Gesù ci sconcerta,

dice che la beatitudine,

la felicità, la gioia,

consistono esattamente nel contrario di ciò che noi

consideriamo fonte di benessere:

ricchezza, forza, calcolo, scaltrezza, arroganza.

Cosa sta dicendo Gesù?

Esalta forse una visione di cattolicesimo

rassegnato e perdente che ancora vedo intorno a me?

Mi dice forse che, se le cose vanno male,

se sono povero (“pitocco” nel testo greco),

se subisco violenza,

se provo dolore e piango,

sono immensamente fortunato?

Siamo seri, non diciamo stupidaggini!

Dio non ama il dolore e Gesù stesso,

per quanto gli è stato possibile, ha evitato la sofferenza.

O ha ragione l’immenso Niestche,

quando dice che i cristiani, non riuscendo a vincere,

ad emergere, a trionfare,

essendo i perdenti della storia alla fine dicono e fanno dire a Dio:

“Allora beati gli sconfitti?”.

Dio, il beato Gesù parla del Padre,

ne descrive il vero volto,

racconta l’inaudito di Dio così come egli lo ha vissuto e lo vive.

Il Padre, il vero Dio, è un Dio povero,

un Dio misericordioso, un Dio mite,

un Dio che ama la pace, un Dio che, per amore, è pronto a soffrire.

Un Dio così diverso da come ce lo immaginiamo,

un Dio così straordinario e armonioso

solo Gesù ce lo può veramente svelare,

perché lui e il Padre sono una cosa sola.

Così come Mosè, portando scolpite nella pietra le parole di Dio,

un Dio che aveva liberato il popolo dalla schiavitù,

ne svelava l’intima natura,

il desiderio che Dio ha di insegnare all’uomo la strada dell’umanità realizzata,

Gesù ci descrive il volto inatteso di Dio,

mentre ci consegna una nuova legge,

una legge scritta nel cuore.

Dio non dona a ciascuno il suo,

ma a ciascuno secondo quanto ha bisogno,

privilegiando chi ha meno:

un cuore povero, un cuore affranto

riceve molta più attenzione e tenerezza

di un cuore sazio che non ha bisogno di nulla.

La beatitudine non consiste nel dolore, nella miseria,

ma nel fatto che l’intervento di Dio colma il cuore di chi è affranto.

Il ribaltamento Gesù dice:

se, malgrado la sofferenza,

la persecuzione, il pianto tu sei sereno,

beato, significa che hai riposto in Dio la tua fiducia,

è lui il tuo unico sostegno;

stai felice: hai trovato Dio,

la felicità che non ti è tolta,

la risposta grande alla vita.

Le gioie che viviamo sono dono suo, e vanno vissute,

Dio ci chiederà conto di tutte le gioie che non avremo vissuto.

Ma quanta più gioia c’è nel tuo cuore se, nel dolore, tu resti saldo in lui,

l’unico bene che non ti può essere tolto!

Conoscere Dio, sapere che in lui soltanto riposa il tuo cuore,

sovverte l’ordine delle cose.

Il mondo è aggressivo, ci vuole grinta per sfondare?

Devi sempre dimostrare che vali?

Al lavoro sei misurato e pesato continuamente?

Tu resta mite, costruisci la pace, vivi nella giustizia, tu stai dalla parte di Dio.

Non c’è santo: o ha ragione il mondo, o ha ragione Dio.

Le Beatitudini sono promessa di un mondo nuovo,

diverso, di una logica che siamo chiamati a scrivere nella piccola vita

delle nostre piccole comunità radunate intorno al pane di Dio.

È difficile vivere il Vangelo,

lo so bene, difficile vivere nella storia il sogno di Dio che è la Chiesa.

Ma la fatica che faccio nel restare tassellato al Vangelo,

lo sforzo eroico che compio nella conversione alla logica del Regno,

anticipa e realizza le Beatitudini.

Nella mia vita chi è mite conta qualcosa, c

hi è povero di cuore, cioè umile,

vale più di chi ostenta arrogante ricchezza,

la mia presenza, la mia preghiera,

sono conforto al cercatore di giustizia.

Le beatitudini affermano che la storia finirà come abbiamo sempre sognato:

trionfa il bene, lo sconfitto risorge,

l’arroganza dei potenti è convertita, umiliata,

e di questa storia noi siamo testimoni.

Paolo guarda alla sua comunità, fatta perlopiù di schiavi senza futuro,

Sofonia profetizza: Dio si sceglie un povero tra gli ultimi della storia,

si schiera con la periferia, con coloro che subiscono oppressione e violenza,

e li riscatta, li salva, li rende figli della luce.

Pubbliche scuse Lo so, lo so:

questa pagina è indigesta, improponibile, utopica.

Gradevole come sogno,

assurda come modello di vita concreto,

esempio del mio modo di relazionarmi,

di concepire i rapporti con gli altri… lo so, non insistete.

Chiedo scusa, tornate pure ai vostri affari,

sfogliate pure la lista delle tragedie di oggi raccontate dai quotidiani,

godetevi la trasmissione di moda che vi parla di come vestirà l’uomo Armani di quest’estate, rifugiatevi pure nel campionato di calcio.

Gesù è un burlone, lo sapete,

va preso per quello che è,

un sognatore incallito.
E se invece

– una volta tanto –

avesse ragione Dio?


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